lunedì 19 marzo 2012

Il Papà tra Attacamento e Autonomia


Il legame di attaccamento non si riferisce esclusivamente alla relazione madre-bambino.
Il neonato sviluppa un attaccamento affettivo nei confronti di chi si prende cura di lui, sia fisicamente che con coccole e attenzioni. L’attaccamento nei confronti della madre è ovvio e naturale, ma molti studi rivelano che questo sentimento si sviluppa anche nei confronti delle altre persone che si occupano del piccolo, primo fra tutti il padre. Ad esempio gli studi di Lamb (1981) hanno evidenziato che non ci sono grosse differenze nei segni di attaccamento che mostra un bambino piccolo quando gioca da solo, prima con un genitore e poi con l'altro. Altre ricerche (Lamb, Power e Parke, 1983) hanno messo in evidenza che ci sono delle differenze nel modo in cui i padri e le madri interagiscono con i loro figli piccolini : i padri tendono ad essere più decisi nei movimenti, sollecitano, scuotono, toccano di più il bambino e in tal modo ne tengono viva l'attenziopne. Le madri invece hanno più spesso atteggiamenti protettivi, dondolano, cullano, parlano dolcemente. Entrambe le modalità sono gradite al bambino, che si trova bene sia con l'uno che con l'altra. Padre e madre svolgono spesso ruoli deversi ma complementari e il bambino si affeziona ad entrambi.  integratrice ed equilibratrice del rapporto affettivo tra madre e figlio.
Il papà  oggi non è più solo un’autorità amata-temuta, ma è diventato una vera e propria figura di riferimento per il bambino,
Nella madre, infatti, spesso è presente un desiderio di “non crescita” del figlio, una sorta di cordone ombelicale metaforico. Il padre, invece, ha il compito di tagliare questo cordone ombelicale, accompagnando gradualmente il bambino verso l’autonomia.  
Il ruolo del padre di oggi  è quello di aiutare il bambino a crescere, incoraggiandolo ad affrontare le tappe fondamentali che piano piano lo porteranno verso la conquista della propria autonomia.
I primi passi, le prime paroline, l’addio al ciuccio e al pannolino: sono momenti in cui la presenza del padre è importantissima, sia per infondere fiducia nel bambino spronandolo a mettere alla prova le proprie capacità, sia per sostenere la madre, aiutandola ad affrontare i dubbi e le paure derivanti dall’idea che il piccolo sta diventando grande.
La ricerca del proprio ruolo in quanto padre è un’impresa complicata, che ognuno affronta a modo proprio. Gli psicologi riconoscono 4 categorie:
1) padri in travaglio: sono pieni di dubbi e fanno fatica a capire qual è il posto che devono occupare all’interno della famiglia;
2) mammi: come si può intuire dalla parola stessa, i mammi sono quei padri che si sono identificati nella figura materna e ritengono di essere più bravi della madre ad allevare e accudire il figlio;
3) rinunciatari: fare il papà non è facile, perciò alcuni decidono di rinunciare. Si rifanno magari all’esempio del proprio padre, che si limitava a portare a casa lo stipendio senza prendere parte attiva nella cura dei figli;
4) padri che ce la fanno: questi papà riescono a creare un forte legame affettivo col bambino accudendolo già da piccolo, ma non per questo cercano di sostituire la madre nel suo ruolo.


dott.ssa Manuela Carone


Bibliografia
M.E.Lamb "Il Ruolo del Padre"
A. Oliverio Ferraris "I Motivi del Comportamenrto Umano"

giovedì 15 marzo 2012

La Dipendenza da Cibo Spazzatura




Sarà capitato sicuramente a tutti, magari al termine di una giornata lavorativa molto faticosa oppure in un momento di forte ansia, di cedere all’irresistibile tentazione di divorare qualsiasi “schifezza” che ci capiti a tiro. Molto spesso è proprio la nostra mente che ci spinge a rimpinzarci di vere e proprie bombe caloriche grondanti grassi e zuccheri.
Ed è proprio dai nostri meccanismi cerebrali che si scatena una sorta di frenesia divoratrice che può essere del tutto paragonata a ciò che succede a chi soffre di altre forme di dipendenza, quali ad esempio il fumo o la droga. Questa è la conclusione a cui è giunta la ricerca statunitense recentemente pubblicata dalla nota rivista di settore Nature Neuroscience e condotta dai ricercatori Paul Johnson e Paul Kenny nell’Istituto Scripps di Jupiter, in Florida.
Nello specifico, gli studiosi hanno osservato e testato il fenomeno di dipendenza dal cosiddetto “junk food” (cibo spazzatura) su dei ratti da laboratorio introducendo nella loro alimentazione usuale, composta per lo più da cibi leggeri e sani, dei gustosi snack a base di salsicce, bacon, dolci vari e cioccolato. Pare proprio che gli animali abbiano accettato di buon grado questa piacevole variazione della loro dieta con una conseguente assunzione di eccessive calorie ed un crescente aumento di peso.
La ricerca ha messo in evidenza il fatto che, dopo un breve lasso di tempo, i ratti non erano più in grado di avvertire il senso di sazietà e continuavano dunque ad ingerire alimenti grassi anche quando non era indispensabile. Tutto ciò pare sia indotto dalla modificazione dei cosiddetti “circuiti di ricompensa” ovvero le aree del cervello che regolano la produzione della dopamina (sostanza chimica che attiva dei recettori specifici e trasmette gli impulsi dell‘appagamento). Normalmente questi circuiti cerebrali vengono sollecitati e si attivano prontamente ogniqualvolta si stia vivendo una situazione positiva; dunque l’affievolimento dei suddetti meccanismi riscontrato nei ratti alimentati con i cibi spazzatura pare del tutto assimilabile a ciò che accade nella dipendenza da fumo e droga.
Per ripristinare una condizione di assoluta normalità nei circuiti di ricompensa degli animali sono trascorse ben due settimane dalla sospensione degli snack ipercalorici. La Coldiretti ha commentato questi risultati fornendo delle percentuali sull‘alimentazione scorretta dei bambini italiani alquanto preoccupanti: ben il 41% consuma giornalmente bevande ricche di zucchero e privilegia i cibi grassi anziché la frutta e la verdura. Se si correggessero le abitudini alimentari seguendo una sana dieta mediterranea non si soffrirebbe di vere e proprie crisi d’astinenza da junk food.

Tratto da
www.ecplanet.com

martedì 13 marzo 2012

Sovrappeso e depressione, nesso reciproco

 Fondamentale l'aspetto psicologico nella buona riuscita di una dieta

 


Per riuscire a dimagrire serve anche la psicologia. Secondo uno studio pubblicato sul General Hospital Psychiatry da un team di ricercatori del Group Healht Research Institute di Seattle, chi ha bisogno di rimettersi in forma va aiutato anche da un punto di vista psicologico per vincere quei sintomi depressivi che vanno di pari passo con la condizione di sovrappeso o di obesità.Lo studio ha dimostrato infatti che curare anche il malessere psicologico porta quasi a raddoppiare le probabilità di successo della dieta. Peraltro, già studi precedenti avevano stabilito che forme depressive nell'infanzia erano associate ad obesità nel corso dell'adolescenza e in età adulta. Allo stesso modo, l'obesità nel corso dell'adolescenza è associata a depressione nei giovani adulti.
Il team guidato da Gregory Simon ha verificato la condizione di 203 donne di età compresa fra i 40 e i 65 anni per e i 65 anni per un periodo di un anno. A tutte le donne erano stati diagnosticati sintomi depressivi. I ricercatori hanno diviso le donne in due gruppi, curandosi esclusivamente della perdita di peso nel caso del primo gruppo, affrontando invece anche i disturbi psicologici per il secondo. I risultati parlano chiaro: fra le donne del secondo gruppo, la percentuale di riuscita della dieta era del 38 per cento, contro il 22 del primo gruppo. Fondamentale è stato l'apporto dell'esercizio fisico. Infatti, spiega Simon, “il rapporto tra depressione e attività fisica è bidirezionale. Il buon umore fa venir voglia di fare movimento, e fare movimento mette a sua volta di buon umore”. D'accordo con i risultati dello studio lo psichiatra Roshanaei-Moghaddam dell'Università di Washington: “la maggior parte dei programmi per
dimagrire non presta sufficiente attenzione allo stato psicologico delle persone in sovrappeso. Questo studio sottolinea ancora una volta l’importanza di valutare subito eventuali sintomi depressivi nei pazienti obesi che chiedono aiuto: "programmi combinati mirati al raggiungimento sia del benessere
fisico sia di quello psicologico, possono risultare sicuramente più efficaci su entrambi i fronti".La scala di valutazione utilizzata dai ricercatori per giungere alle loro conclusioni si è avvalsa di quattro parametri:

- misurazione diretta e oggettiva del peso corporeo;
- scala di 20 sintomi depressivi ricavata dalla Hopkins Symptom Checklist utilizzata in ambito psichiatrico;
- scala in 13 punti per la misurazione dell'attività fisica svolta, sviluppata da Jacobs, che consente di valutare il grado di frequenza con il quale i partecipanti si sono impegnati in attività fisiche moderate (ad esempio camminare, fare i lavori di
casa ecc.) o intense (fare jogging, nuotare, partecipare a lezioni di aerobica);
- un questionario sul cibo basato sul consumo di 65 alimenti messo a punto dal National Cancer Institute.

fonte
www.italiasalute.it

venerdì 9 marzo 2012

Lo Sviluppo della Coppia


Quando i primi biologi hanno studiato la struttura di piante e animali hanno scoperto che la crescita è un processo di trasformazione. Dalla cellula si sviluppano nuove forme con nuove funzioni, attraverso progressivi stadi sempre più complessi. Ogni stadio successivo si basa su quello precedente e si presenta come una sua trasformazione in una forma più complessa. Questo stesso processo degli organsmi biologici è riscontrabile nello sviluppo psicologico degli esseri umani. Loevinger nel 1966 ha proposto una sintesi delle principali caratteristiche di un modello di sviluppo:
  • ordine invariabile degli stadi di sviluppo
  • nessuno stadio può essere saltato
  • ogni stadio è più complesso del precedente e rappresenta una trasformazione in una nuova forma di ciò che esisteva in precedenza
  • ogni stadio si basa sul precedente e prepara il successivo
Bader e Person nel 1988 dimostrano come questi assunti si applichino alle coppie e all'evoluzione di efficaci relazioni. Il modello evolutivo della coppia si basa sulle seguenti assunzioni:
  • le relazioni di coppia attraversano i normali stadi evolutivi della prima infanzia (come descritti da M. Mahler)
  • lo sviluppo nella prima infanzia, quindi, ha un effetto significativo sulla relazione di coppia
  • ogni stadio della coppia ha precisi compiti da svolgere, ogni stadio è più complesso del precedente e richiede nuovi strumenti basati sull'integrazione e trasformazione in una nuova forma di ciò che esisteva precedentemente.
Una prima fonte di conflitto e di divisione in una relazione si verifica quando uno o entrambi gli individui non sono capaci di padroneggiare i compiti evolutivi necessari per faciltare il nuovo stadio.
Gli interventi terapeutici possono essere fatti su misura per uno specifico stadio.
Quando si verifica una fase di stallo o un partner è incapace di muoversi attraverso un conflitto o di sviluppare strumenti nuovi, si cercano i paralleli tra le esperienze fatte nella famiglia d'origine e l'attuale interazione. Le fasi dello sviulppo della coppia descritte da Bader e Person che ricalcando quelle dello sviluppo infantile di M. Mahler sono:

1. Simbiosi Nell’innamoramento, si idealizza il partner e si perdono i confini rispetto a lui/lei: le due persone sono inseparabili e spesso si distaccano dalle rispettive famiglie e dalle amicizie, passano insieme molto tempo e tendono a considerare molto le somiglianze reciproche, trascurando le differenze. Lo scopo di questa fase è stabilire il legame o attaccamento.
2. Differenziazione Ciascun partner inizia a cogliere le differenze rispetto all’altro, riducendo l’idealizzazione reciproca; ognuno comincia a rifocalizzarsi su se stesso e sui propri bisogni, con un conseguente ristabilirsi dei confini. Lo scopo di questa fase è la gestione delle differenze negli stili di personalità, negli obiettivi e nei desideri.
3. Sperimentazione I partner sentono fortemente il bisogno di individuarsi e riconoscersi come diversi, sperimentandosi all’esterno, per cui l’altro può essere percepito come limitante l’autonomia. In questa fase, i partner hanno il compito di consolidare il potere e l’autostima personale, riscoprendosi come individui.
4. Riavvicinamento Al desiderio di rimanere individuati e autonomi, si unisce il bisogno di ritrovare intimità e sostegno nella relazione di coppia. I compiti evolutivi di questa fase sono lo sviluppo della capacità di impegnarsi costantemente col partner, esporre se stessi senza il timore di mostrarsi vulnerabili e di perdere l’autonomia.
5. Interdipendenza Si raggiunge la piena intesa, attraverso la condivisione dei valori, che stabilisce autonomia e interdipendenza.
Se entrambi i partner non progrediscono attraverso queste fasi evolutive, si genereranno conflitti e si avranno blocchi evolutivi, che spesso possono essere la riproposizione nella coppia dei blocchi personali di ciascun individuo.

Bibiografia

Edoardo Giusti, Claudia Montanari La co-psicoterapia. Due è meglio e più di uno in efficacia ed efficienza
 Margaret Mahler, Fred Pine, Anni Bergman La Nascita Psicologica del Bambino

dott.ssa Manuela Carone

giovedì 8 marzo 2012

Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili...


Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili.
Per avere uno sguardo amorevole, cerca il lato buono delle persone.
Per avere un aspetto magro, condividi il tuo cibo con l'affamato.
Per avere capelli bellissimi, lascia che un bimbo li attraversi con le proprie dita una volta al giorno.
Ricorda, se mai avrai bisogno di una mano, le troverai alla fine di entrambe le tue braccia. Quando diventerai anziana, scoprirai di avere due mani, una per aiutare te stessa, la seconda per aiutare gli altri.
La bellezza di una donna aumenta con il passare degli anni.
La bellezza di una donna non risiede nell'estetica, ma la vera bellezza in una donna è riflessa nella propria anima. È la preoccupazione di donare con amore, la passione che essa mostra.
-- Audrey Hepburn