mercoledì 10 luglio 2013

Il Femminicidio...le caratteristiche di personalità della vittima e dell'agressore

In lingua inglese il termine femicide (femicidio) veniva usato già nel 1801 in Inghilterra per indicare "l'uccisione di una donna". Il termine è stato utilizzato dalla criminologa Diana Russell nel 1992, nel libro scritto insieme a Jill Radford "Femicide: The Politics of woman killing". La Russell identificò nel femmicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna», in cui cioè la violenza è l'esito di pratiche misogine. Dopo che il "delitto d'onore" è stato depennato dalla nostra legislatura, dopo le battaglie sull'uguaglianza uomo-donna, dopo la presa di coscienza dei propri dritti da parte delle donne, dopo la faticosa ricerca dell'inserimento nel mondo del lavoro e dopo la vitale esigenza della ricerca di un'indipendenza economica che renda veramente libera la donna la parola femminicidio è tristemente attuale.
Questa triste realtà si compie all'interno di una dinamica di coppia ben precisa nella quale entrano in gioco altrettanto precise caratteristiche di personalità. La vittima è infatti spesso una persona fragile, con forte dipendenza di personalità, una necessità eccessiva di essere accudita e un comportamento sottomesso e terrore di un'eventuale separazione. Tutto questo di solito si struttura nell'infanzia quando un genitore (il padre) assente o svalutante tende ad attaccare fisicamente o verbalmente la madre e/o i figli. Quando per esempio un lui è un narcisista distruttivo, inevitabilmente una donna sensibile che tende a dare valore alla famiglia, più che altro, si annulla, si pietrifica, prosciugando ogni traccia di autostima e blocca una sana capacità di amare e reagire adeguatamente. D'altronde le bambine che assistono a perenni attacchi tra un carnefice, che è pur loro padre, e una vittima, la madre, con conseguenti sottomissioni e tracce perenni di quegli abusi, giurano a se stesse che mai accetteranno un marito che assomigli al padre detestato e si pongono anche in contrapposizione con quella madre, la loro, che non osa ribellarsi o uscire da quell'inferno portandosi via naturalmente anche i figli. Logicamente sarebbe semplice agire in modo che se si rifugge da un esempio, guardandosi intorno se ne può accogliere un altro. L'inconscio però, padrone assoluto del nostro fare inconsapevole, spinto da un desiderio vitale di necessaria alimentazione emozionale e tensionale, nostro malgrado, finisce per portarci verso persone che più di altre possono riattivare una coazione a ripetere già conosciuta  che ha lasciato un solco indelebile. Ed è molto spesso così che allora, quelle bambine, diventate donne, vengono meno al loro giuramento e inconsciamente sono portate ad essere qualche cosa di molto simile alle loro madri o nonne. Scelgono un partner maschile che all'inizio della relazione le affascina con un fare delicato e dolce , un uomo che nella prima fase della relazione si mostra innamorato, fa sentire la donna "scelta" per alcune sue caratteristiche positive ed uniche. E' frequente in questi casi un'accelerazione del coinvolgimento e della scelta di convivere o sposarsi. La relazione sembra speciale, unica e diversa da tutte e altre. L'uomo si mostra possessivo e spesso anche geloso. Ciò fa credere alla donna, rispetto ad una serie di stereotipi culturali sull'amore, di essere importante e di aver trovato la persona giusta. Le richieste irragionevoli e le manovre di isolamento iniziano subito ad affacciarsi e sono attuate dal futuro aggressore con ricatti emotivi tesi a far sentire in colpa e inadeguata la partner. I comportamenti della donna vengono sottolineati con cruccio e frasi tipo "Se vuoi questo...vuol dire che non mi ami veramente...se fai quest'altro...allora non te ne importa nulla di noi..non sei intelligente come pensavo, non puoi essere una buona moglie..." La donna cade nel tranello teso dal suo stesso romanticismo e dalla paura e non è poi in grado di sciogliere rapporti questo tipo. 
Cosa pensare dei carnefici? Spesso anche per loro assistere alle devastanti dispute fatte di guerriglia famigliare è deletereo, forse diventeranno uomini deboli per controbilanciare gli accadimenti dolorosi o forse purtroppo, impareranno che per essere "maschi" così si fa e, se lo faceva il padre, si può. 

dott.ssa Manuela Carone

grazie a dott.ssa Daniela Poggiolini e IKOSSAGEFORM

fonti
Vanity Fair del 07/06/2013
Wikipedia
Barbara Spinelli, "Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale"


1 commento:

  1. Oggigiorno, non interessa che la donna sia stata ammazzata, ma che la donna ammazzata faccia notizia,questo rischia di alterare la nostra percezione della realtà. La prima vera notizia è che la violenza omicida sulla donna non registra un aumento, piuttosto sta diminuendo. Proprio così! Una lettura scevra da condizionamenti, quella dei dati ISTAT, lo conferma:nel 2012 le donne uccise sono state 124, nel 2010 furono 156, 172 nel 209 e ben 192 nel 2003 che rappresenta il picco degli ultimi 10 anni.

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